L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine nello spirito: soltanto qui è la chiave di tutto. (Goethe)

lunedì 14 marzo 2011

Sarkozy mira ai pozzi libici.

di Mario Sechi da il Tempo.it del 11/03/2011

La Francia ha capito che il post-Gheddafi va gestito in attacco e non in difesa. Ieri fonti dell’Eliseo lasciavano trapelare che Parigi sosterrà il bombardamento di obiettivi libici, mentre gli insorti dell’est sono già stati riconosciuti come un’autorità legittima con cui trattare.

L’Italia è il Paese che ha gli interessi più cospicui in Libia. Come li stiamo difendendo? È una domanda alla quale da qualche settimana le azioni di maggioranza e opposizione suggeriscono una sola risposta: male. Il governo finora si è accodato alle decisioni delle più varie istituzioni. Di volta in volta ha detto di essere d’accordo con Onu, Ue, Nato, Lega Araba e Unione Africana. Manca solo il circolo degli scacchi e la lega del Subbuteo. Ma qual è la nostra posizione, la linea dell’Italia sulla crisi libica? Non pervenuta. Lo stesso Berlusconi - abilissimo manovratore in politica estera - stavolta sembra aver perso la bussola. Spettacolo imbarazzante offre il centrosinistra dove Gheddafi è riuscito a dividere un wilsoniano Veltroni da un Pd in cerca d’autore, mentre i compagni de il Manifesto in nome del Colonnello si sono scissi un’altra volta. Già così la situazione è pessima, ma se osserviamo cosa stanno combinando i nostri cugini francesi e i soliti inglesi, allora la faccenda appare serissima. Nicolas Sarkozy ha capito che il post-Gheddafi va gestito in attacco e non in difesa. Ieri fonti dell’Eliseo lasciavano trapelare che Parigi sosterrà il bombardamento di obiettivi libici, mentre gli insorti dell’est con un colpaccio diplomatico a sorpresa sono già stati riconosciuti come un’autorità legittima con cui trattare per l’oggi e soprattutto il domani. Uno-due.
Il tricolore francese sventola a Bengasi. David Cameron a Londra non ha perso tempo: ha inviato squadre speciali di militari nel deserto, è pronto a far volare i caccia Typhoon per attuare la futura no fly-zone e non si tirerà indietro di fronte a un’operazione militare mare-terra-aria. Tre-quattro. La Union Jack è in marcia su Tripoli. Parigi e Londra sono uscite con energia allo scoperto, hanno un’idea forte e non temono di esporla di fronte all’opinione pubblica e di creare un dibattito anche aspro, se volete, ma almeno concentrato su un tema di fondo della politica per i prossimi decenni. L’Italia invece sembra impegnata in un’operazione di polizia interna e cooperazione che ha poco a che fare con una potenza del G7 e molto invece con una Ong. La missione umanitaria in Tunisia è utile, certo, ma anche questa è una giocata di rimessa e in ogni caso del tutto insufficiente rispetto al nostro interesse concreto sul campo da gioco libico e al non trascurabile fatto che la partita è in corso nel Mare Nostrum.


È uno scenario da questura e non d’ambasciata e centro di comando aero-navale. Non a caso il ministro più loquace e attivo in questa vicenda appare quello dell’Interno, Roberto Maroni, mentre il ministro degli Esteri, Franco Frattini, sembra impegnato da un lato ad assecondare i timori di Berlusconi sui contraccolpi per la caduta del regime di Gheddafi, dall’altro deve fare i conti con la Lega, la cui visione del mondo su questa vicenda sembra purtroppo cominciare e finire a Varese. Mentre negli Stati Uniti si discute come aiutare concretamente gli insorti libici - Richard Perle ha spiegato che più della no fly-zone può essere utile la fornitura di armi anti-tank e anti-aeree, come i lanciamissili Stinger che cambiarono il corso della guerra dei mujaheddin contro l’esercito sovietico in Afghanistan - e mentre in Europa le volpi di Londra e le faine di Parigi si muovono lestamente, noi attendiamo istruzioni dagli altri, non produciamo un’idea che non sia il wait and see, l’aspetta e vedi e non riusciamo a far decollare non dico un aereo da caccia, ma un dibattito politico decente sulla caduta del Muro del Maghreb.


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