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venerdì 1 aprile 2011

I disordini arabi tengono la Cina sulle spine

di Francesco Sisci

RUBRICA SINICA. Il disastro nucleare giapponese, l'intervento occidentale in Libia e la rivolta in Siria gettano benzina sul fuoco dell'incubo più grande di Pechino: l'inflazione alimentare e petrolifera.

(carta di Laura Canali tratta da Limes 4/2008 "Il marchio giallo" - clicca sulla carta per legenda e possibilità di ingrandire)

PECHINO - Lo scorso sabato 26 marzo alcune manifestazioni antigovernative hanno ingolfato diverse città della Siria, un paese mediorientale retto da una vecchia dittatura che sostiene i fondamentalisti islamici che periodicamente attaccano Israele dal Libano meridionale.
Il presidente siriano, l'oftalmologo quarantacinquenne Bashar al Assad, che ha ereditato la posizione dal padre Hafez al Assad, ha presumibilmente ordinato alle truppe di aprire il fuoco contro i manifestanti.
Durante il weekend, i media internazionali hanno parlato di decine di morti e si è andata sviluppando la possibilità di un cambiamento di regime o di un intervento occidentale a supporto dei manifestanti antigovernativi.
Una settimana prima, una coalizione di forze statunitensi, francesi, britanniche e italiane è intervenuta in Libia contro Muammar Gheddafi in sostegno dei ribelli che stavano perdendo la guerra. Se, nei prossimi giorni, i manifestanti siriani perderanno nei combattimenti contro Assad, gli Stati Uniti rimarranno in disparte e seguiranno freddamente le azioni repressive?


Perché l'Occidente dovrebbe tollerare le violenze nell'ostile Siria mentre non le ha potute sopportare in Egitto (un alleato il cui esercito è stato messo sotto pressione perché si rivoltasse contro il dittatore locale) o in Libia (un paese non alleato ma neanche ostile dove l'Occidente ha bombardato il dittatore locale)?
La logica e i precedenti vorrebbero o che i generali siriani si sbarazzassero di Assad in pochi giorni o settimane, o che si aprisse un nuovo fronte in Medio Oriente, magari appena Gheddafi verrà spodestato, in un modo o nell'altro, dalla Libia.
Quest'ultima opzione potrebbe essere molto rischiosa. I problemi in Siria sono apparsi prima dell'eliminazione di Gheddafi e gli sviluppi in Libia potrebbero essere complicati da un'attenzione politica e strategica divisa. Molte cose potrebbero andare storte e, nel peggiore dei casi, l'intero Medio Oriente potrebbe diventare un pantano.
Tuttavia al momento la strategia generale occidentale, modellata da un grande uomo anziano della montagna, dalle migliaia di coincidenze della storia, o da un misto di entrambe le cose, spera di aggirare le sabbie mobili. Lo scopo è quello di creare un nuovo ordine nella regione, un progetto scappato dalle mani di George W. Bush dopo la guerra in Iraq.
L'obiettivo apparente è quello di rovesciare la dittatura mettendo pressione all'elite locale perché abbandoni il suo padrone quando il paese sarà divenuto obbediente ai desideri statunitensi (come in Tunisia o in Egitto). Ciò è accaduto senza troppi sbandieramenti a stelle e strisce o di colore verde dei radicali islamici.

Finora, il cambiamento non ha sfiorato l'Arabia Saudita o i suoi vicini più prossimi - tutti Stati chiave per l'erogazione e i prezzi del petrolio di tutto il mondo. Così, quando le truppe saudite hanno dato il loro aiuto per sopprimere i ribelli in Bahrein, un paese dai principi sunniti e dalla populazione sciita, gli Stati Uniti non sono intervenuti. Le proteste sono stata considerate ispirate dall'Iran - governata dai mullah sciiti fondamentalisti - e non dalle ambizioni democratiche del popolo.
Mentre gli Stati Uniti sostengono le rivolte nei paesi i cui leader sono sia amici sia nemici, questo aiuto è accompagnato dalla condizione che le proteste non promuovano le ambizioni del nemico numero uno dell'America nella regione. Se questa ondata di rivoluzioni "dei gelsomini" sponsorizzate dall'Occidente va a buon fine, l'Iran potrebbe essere messo in gabbia, sotto assedio. Allora, il potere dei mullah potrebbe essere messo alla prova da nuove manifestazioni democratiche entro pochi mesi, quando l'inflazione globale e l'aumento del prezzo del grano potrebbero esportare le rivolte del pane anche a Tehran.


Questa tendenza sembra uno tsunami: visto che è troppo grande per essere fermato, bisogna cavalcarlo, con la consapevolezza costante che nessuno sa se, dopo che l'inondazione è finita, ci sarà bel tempo o pioggia. Sicuramente, qualsiasi cosa porti il tempo, ci sarà una distruzione immensa, materiale e istituzionale, che ci vorranno anni per rimettere a posto.
Potrebbe essere un disastro per alcuni anni, ma forse, a medio-lungo termine, potrebbe essere una benedizione, dal momento che molti di quei paesi ricchi di petrolio potrebbero pagare a peso d'oro l'Occidente per la ricostruzione, aiutando l'Europa e l'America a uscire dalla recessione.

Questo è il roseo futuro che, nel migliore dei casi, impiegherebbe anni a instaurarsi. Nel frattempo, molte cose posso andare storte.
Nei prossimi mesi (e forse anni), lo scenario sarà certamente differente, con importanti e immediate conseguenze economiche in un mondo in cui la situazione è tutt'altro che rosea. Insurrezioni nella regione vogliono dire prezzi del petrolio più alti, il che vuol dire inflazione generalizzata.
Questa pressione inflazionistica si somma alla crisi del Giappone, risultata dalla triplice tragedia di terremoto, tsunami e disastro nucleare. Il Giappone, un grande esportatore mondiale e investitore in Asia, sta richiamando indietro il capitale per finanziare la propria ricostruzione. Perseguitato da un deficit di più del 200% del proprio prodotto interno lordo, dovrà uscire da solo dalla crisi presente, tagliando le esportazioni.
L'impatto di queste pressioni inflazionistiche globali è aggravato dalla politica di alleggerimento quantitativo della Federal Reserve utilizzata per alleviare i dolori americani dopo la crisi finanziaria del 2008.
L'inflazione causata dalla stampa di denaro della Fed vuol dire anche maggiore competizione internazionale nella vendita dei bond governativi - un fatto di fondamentale importanza per i paesi dell'Eurozona, uniti da una sola moneta ma divisi da rendimenti nettamente diversi sui bond nazionali. Alcuni paesi forti vendono i loro bond a rendimenti bassi (per esempio, la Germania), altri hanno difficoltà a pagare rendimenti alti che mettono le economie locali già deboli sotto ulteriore pressione (come Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia).
L'Unione Euopea ha incrementato la spinta per proteggere l'euro dai possibili defaultdegli Stati membri. Ma questi meccanismi non sono automatici e al paese debole va chiesto, in cambio, di cedere la propria sovranità su un certo numero di politiche fiscali locali. Anche in questo caso, però, la pressione sulle economie più forti potrebbe essere troppo pesante.

I rendimenti sui bond portoghesi sono saliti di nuovo al picco dell'era euro lo scorso venerdì, mentre gli investitori si preoccupavano delle possibilità del paese di ripagare il suo debito di 9,5 miliardi di euro (13,4 miliardi di dollari) in scadenza fra aprile e giugno. Qualsiasi salvataggio del Portogallo costerebbe un totale di 70 miliardi di euro.
La scorsa settimana, il finanziere miliardario Warren Buffet ha dichiarato che “un certo livello di pressione potrebbe far crollare [il Portogallo] … So che alcune persone credono sia inimmaginabile, ma io non credo che sia inimmaginabile.”

La crisi in Portogallo, e forse in Spagna, non è stata certamente iniziata o causata dalle rivolte a Tunisi o Tripoli, ma problemi in questa parte del mondo o in Giappone potrebbero accelerare la crisi dell'euro. E, simultaneamente, una crisi dell'euro potrebbe rendere più costoso lo sforzo bellico francese e italiano in Libia, e forse in Siria.

Inoltre, c'è la Cina, colpita sia dalla rivoluzione dei gelsomini sia dall'inflazione globale. Qui, l'inflazione era già abbastanza alta all'inizio dell'anno, con gli indici dei prezzi alimentari che mostravano una crescita del 10% grazie al successo delle misure per l'espansione economica che hanno tirato la Cina fuori dalla crisi finanziaria globale.
Tuttavia, è improbabile che l'inflazione inneschi grandi disordini come quelli visti in Egitto. La maggioranza della popolazione cinese è ancora fatta di contadini, produttori di grano, che non possono che beneficiare dell'incremento dei prezzi del grano. La ricca popolazione urbana neanche nota i prezzi del cibo. È la popolazione urbana dai redditi bassi a soffrire.
Appena passati a un dieta più ricca di carne, potrebbero essere costretti a ritornare a mangiare riso e verdure, un passo spiacevole, reso ancora più amaro dal fatto che queste persone dovrebbero stringere la cinta mentre vedono i loro ricchi compatrioti guidare un numero sempre maggiore di macchine di lusso per le strade.
Ciò e la richiesta di maggiore democrazia attraverso i siti Internet di social network, sempre più popolari fra i giovani intellettuali delle città, potrebbero creare alcuni problemi a Pechino. In previsione della crescita del malcontento, Pechino ha già aumentato le misure di sicurezza generale, il che a sua volta irrita un numero ancora più grande di persone.
Probabilmente questi fattori nei prossimi mesi non causeranno disordini rilevanti in Cina, ma terranno il governo sulle spine.

Quindi, i prossimi movimenti nel Medio Oriente saranno cruciali in questo domino globale che si estende da Tokyo a Tunisi e Lisbona. Ogni giorno che Gheddafi resiste, aumenta il prezzo da pagare della coalizione occidentale, la cosiddetta “tassa sull'euro”. E, in questo modo, il leader libico aiuta implicitamente il suo compagno siriano Assad. Negoziatori occidentali dovrebbero essere al lavoro per migliorare la situazione politica in entrambi in paesi, in modo da abbassare gli altissimi costi degli attuali scontri.

L'Europa e l'America hanno un chiaro seppur rischioso obiettivo: un veloce cambio di regime. Se ciò succede, vincono, altrimenti perdono. La Cina si trova nella comoda posizione di poter valutare i risultati e poi agire.
Tuttavia, il disastro nucleare giapponese, l'intervento occidentale contro Gheddafi e gli scontri in Siria mettono ancor più sotto pressione l'economia. L'inflazione del cibo e del petrolio potrebbe essere più alta e durare più del previsto. Inoltre, le due possibilità non sono solo il trionfo di Gheddafi o la vittoria francese. Le vere possibilità sono o un combattimento prolungato e una grande distruzione, o una vittoria veloce delle forze occidentali. Come in Iraq e in Afghanistan, le forze antiamericane possono solo sperare di rendere la vittoria statunitense ancora più costosa.

A lungo andare, la Cina potrebbe soffrire con o senza i veloci cambiamenti di regime. Combattimenti prolungati potrebbero alzare l'inflazione e far soffrire Pechino. Un cambio veloce di regime potrebbe diminuire i problemi economici ma aumentare la pressione per le riforme politiche.
Cosa potrebbe volere la Cina? Combattimenti prolungati in Libia e Siria, con conseguente pagamento di cari prezzi per l'economia (e con possibili ripercussioni sociali nelle città) ma con mantenimento del sistema politico attuale? Oppure veloci vittorie occidentali che possono tagliare i conti economici ma costringere Pechino a pagare il prezzo delle riforme politiche (a scapito dei potenti conservatori)?

La Cina ha il tempo dalla propria parte, in quanto le decisioni domestiche non sono urgenti e dipenderanno dagli sviluppi in altri parti del mondo. Ma il tempo sta scorrendo più velocemente di quanto anticipato pochi giorni fa e gli sviluppi hanno ripercussioni molto più vaste.
Inoltre ci sono conseguenze per l'economia globale, nel mezzo della tentata ripresa. Come quando si risolve una difficile equazione algebrica, il numero delle variabili sconosciute è in crescita; fra queste, una mancanza di certezza su: quando e come le fuoriuscite di sostanze nucleari in Giappone potranno essere messe sotto controllo; quale danno finale ci sarà nella catena di approvvigionamento globale e regionale centrato nel Giappone.
L'impatto che il ripensamento globale delle centrali nucleari avrà sui prezzi del petrolio; l'impatto sull'inflazione globale degli sforzi giapponesi di finanziare la ricostruzione nonostante il grandissimo debito pubblico del paese; l'impatto degli attuali scontri nel Medio Oriente sui prezzi del petrolio e sull'inflazione; e quale impatto avrà la partecipazione europea nella guerra in Libia sulla crisi europea dei bond?

Con tante variabili, è facile pensare che qualcosa nella presente equazione potrebbe andare male e che la situazione in Medio Oriente potrebbe solo peggiorare. In questo caso, le conseguenze per l'economia globale potrebbero essere ancora più grandi.

(Copyright 2011 Francesco Sisci - traduzione dall'inglese di Alessandra Potenza)
(1/04/2011)

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