L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine nello spirito: soltanto qui è la chiave di tutto. (Goethe)

sabato 24 marzo 2007

DAL TAR STOP ALLE CANNE PIU’ “PESANTI”

Il colpo di spugna del ministro Livia Turco alla fine non è passato. Con una sentenza del TAR del Lazio che ha deciso su un ricorso presentato da alcune associazioni impegnate nella lotta alle tossicodipendenze, è stato impedito il rialzo per legge delle quantità di stupefacenti liberamente utilizzabili dai consumatori. Così, almeno per ora, il sogno di quanti vorrebbero procedere a passi da gigante verso la liberalizzazione delle droghe subisce una battuta d’arresto. E ritorna applicabile senza deroghe la disciplina introdotta dalla Legge Fini, con buona pace di quanti già pregustavano l’idea di aumentare il contenuto di “fumo” nei propri spinelli, in tutta legalità. Fin dalla sua entrata in vigore, questa legge si è posta come scopo la prevenzione di un problema fin troppo stratificato come quello della circolazione delle sostanze stupefacenti soprattutto tra i giovani, attirandosi critiche e manifestazioni di “disobbedienza civile” da parte del popolo della canna libera, che sostiene da anni la battaglia contro la tolleranza zero. I temi portati avanti dai benpensanti della sinistra e dai radicali ci hanno parlato di legge arrogante e irresponsabile e che limita i diritti dei cittadini. Addirittura è stato fatto passare il concetto, completamente falso, che anche i semplici consumatori sporadici avrebbero rischiato il carcere magari per essersi fumati uno spinello tra amici e così il becero coro di indignazione per i rischi penali corsi dai giovani (!!) ha inevitabilmente offuscato le intenzioni di recupero di chi è entrato nel tunnel della droga, per la prima volta considerato un essere umano da riabilitare e riconsegnare alla società anziché un mero relitto da abbandonare alle amorevoli somministrazioni di metadone dei Sert o affidare al buon cuore delle istituzioni sociali come alternativa al carcere.Infatti una delle novità principali della Legge Fini consisteva proprio nel porre l’accento sul recupero del tossicodipendente, invitato a seguire un programma terapeutico predisposto da un Sert o da un privato autorizzato, con la possibilità che questa soluzione fosse utilizzata addirittura come misura sostitutiva del carcere: se il tossicodipendente accetta e il programma di recupero ha un esito positivo, la sanzione penale si considera scontata. La funzione della certificazione inoltre, tradizionalmente appannaggio esclusivo dei servizi pubblici, per la prima volta può essere delegata al privato sociale, in presenza di particolari requisiti che sono il livello di eccellenza connesso all'accreditamento e il rapporto di convenzione con il Servizio sanitario nazionale.Però evidentemente ciò non bastava e così a farsi carico del problema ci aveva pensato non qualche deputato impegnato sul tema della liberalizzazione delle droghe come Pannella o i suoi seguaci o qualcun altro che si vanta di seminare piantine di marijuana in Parlamento, ma addirittura il Ministro della Salute Livia Turco che con il decreto ministeriale bocciato dal TAR aveva innalzato la soglia minima di cannabis detenibile ad uso personale, portandone il quantitativo da 500 a 1000 milligrammi. In sostanza, ai fumatori di spinelli veniva concesso di detenere una quantità di “fumo” doppia rispetto a prima, salvandoli dal rischio di incorrere in sanzioni penali visto che, a quanto pare, il quantitativo precedentemente autorizzato era troppo rigido ed in molti ne superavano i limiti. E così dopo l’indulto che ha tolto dai guai migliaia tra detenuti e condannati, si stava materializzando un altro colpo di spugna stavolta a beneficio e –è proprio il caso di dirlo- consumo dei ragazzi che amano sballarsi con le droghe leggere. Eppure proprio il fatto che le persone sanzionate per la detenzione di quantità eccessiva di droga erano moltissime avrebbe dovuto far riflettere e indurre il ministro a ben maggiori rigori verso quella che appare come una piaga sociale inarrestabile, piuttosto che utilizzare un metro di giudizio permissivo e benevolo, tale da incentivare i ragazzi al consumo delle droghe leggere e ad annullare ogni finalità rieducativa della legge Fini.
Ma la realtà dei fatti e ben diversa: non può esistere il diritto di drogarsi, è innegabile che chi assume delle sostanze stupefacenti crea dei danni, è giusto che lo Stato sanzioni amministrativamente il consumo personale, ed è anche ovvio che non finirà in galera nessuno per uno spinello. Ma proprio perché si vuole distinguere l’uso personale dallo spaccio, è arrivato il momento di fare un’inversione di tendenza. Sappiamo bene tutti che ci sono delle sostanziali differenze chimiche tra la cannabis, l’eroina o la cocaina, ma è anche evidente che la diffusione delle cosiddette droghe leggere negli ultimi anni è aumentata a dismisura tra i giovanissimi; molti di loro decidono di mascherare le loro ansie, le loro delusioni e i loro problemi, attraverso un momento di sballo o di fugace follia ed effimera gioia. Ci troviamo in una società senza valori e senza punti di riferimento e nella quale la droga occupa un posto di tutto rispetto ed è purtroppo un fenomeno destinato a crescere se non si prendono delle chiare e ferree decisioni.
I paladini dei diritti civili -che in questo periodo si sono lanciati a capofitto nell’altra “impresa” di equiparare le unioni civili, eterosessuali ed omosessuali, ai matrimoni tradizionali- hanno dovuto cessare i festeggiamenti per quella che consideravano una vittoria morale e politica, e cercando di accaparrarsi qualche voto in più col sostegno a chi fa della droga un dogma di vita, si erano dimenticati addirittura di chi oggi non ne può fare più a meno, dopo aver cominciato per gioco o per tolleranza altrui. Non può passare il concetto della limitazione delle libertà, bisogna garantire il diritto alla vita e non il diritto allo sballo. La legge Fini non ha fatto altro che stabilire delle nuove norme, senza pregiudizi ideologici; rappresenta una via alternativa sia al proibizionismo che all’antiproibizionismo e vuole investire sulla prevenzione della tossicodipendenza, salvaguardando tutti i cittadini, perché la droga, direttamente o indirettamente, può danneggiare la salute e la personalità di chiunque. Per questo, se la droga non fa distinzione tra le persone, la legge non vuole fare distinzioni con la droga. E grazie al TAR, giustizia è fatta.

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