da Limes.it
di Amber Wellard e Rodolfo Visser
Non solo Libia: sono in rivolta anche paesi chiave come Algeria, Bahrein e Iran. La democrazia più che semplificare la situazione farà esplodere quelle tensioni che sono state compresse da decenni di dittatura. E saranno guai anche per noi.
carta di Laura Canali - (clicca sulla carta per andare all'originale con possibilità di ingrandire)
La “guerra del pane” non è nuova: dalle famose brioche di Maria Antonietta al 7 maggio 1898, quando i milanesi affamati scesero in piazza, cambiano i contesti ma non la sostanza. In Francia la rivoluzione travolse il regno, poi generò un imperatore, a Milano le truppe del generale Bava Beccaris spararono ad altezza uomo per sedare i tumulti uccidendo ottanta manifestanti, ma non c’era un colpevole tiranno da abbattere, si trattava di profondo dissesto economico della neonata nazione.
Non stupisce che sotto la spinta magrebina Nord Africa e Grande Medio Oriente presentino il conto a re, raìs e dittatori travolti, prima di tutto, da smisurata, dirompente e disumana avidità. Potevano “accontentarsi” di molto meno, ma l’avidità non perdona, ottenebra le menti, rende ciechi e sordi, quindi improvvidi. Quello che è stato sottratto ai popoli viene ora sequestrato dal mondo civile. Una versione moderna del contrappasso dantesco.
Sorprende invece constatare che il mondo occidentale pensi: instauriamo regimi democratici e tutto è finito. Scoperchiata la pentola, componenti ideologiche e religiose visibili e latenti non si placheranno in breve grazie a democratiche elezioni. Tutt’altro: un uomo, un voto farà emergere tutte le tensioni delle differenze ideologiche a lungo crudelmente compresse.
Un grande pericolo di sottovalutazione incombe. Anche ipotizzando che qualche oscuro disegno abbia acceso la miccia il controllo è perduto, non ci sono pompieri. L’incendio è iniziato e proseguirà ferocemente fino alla fine.
La Libia polarizza l’attenzione mediatica, molte vittime, molti i problemi umani dei migranti del lavoro, ma in sé non costituisce un perno geopolitico. La doverosa attenzione sulle numerose vittime del colonnello libico oscura il progredire della crisi. Gheddafi sarà verosimilmente assassinato da un parente, secondo le tradizioni tribali. La morte del Tiranno sarà festeggiata, ma la situazione resterà caotica come quella tunisina, nessun indizio sui prossimi uomini guida. Unica certezza, la gestione delle risorse energetiche sarà un discorso fra americani e russi: intanto la VI flotta è nel Golfo della Sirte.
Giustamente la nostra attenzione punta su Lampedusa; la storia insegna che la pace non “scoppia” mai in breve tempo. La flottiglia dei disperati finirà più facilmente per esaurimento di barconi che per ripresa socioeconomica delle terre di partenza. Questo non giustifica l’assenza di notazioni sui trentamila cinesi da rimpatriare dalla Libia. Forse una buona occasione per chiedere qualche contropartita di realpolitik a Pechino. Magari saprebbero essere più convincenti.
Gli osservatori in Algeria sono preoccupatissimi. Ad Algeri le cose non saranno semplici come in Tunisia, Egitto e Libia. Zine El Abidine Ben Ali in Tunisia, Hosni Mubarak in Egitto e Muammar Gheddafi in Libia hanno messo d’accordo tutti gli oppositori: nemici e bersagli universalmente condivisi, del resto parleremo poi. In Algeria lo scontro sarà molto più articolato, non si tratta solo di Bouteflika al terzo mandato: uno scontro ideologico religioso ben più profondo, da tempo sottaciuto è pronto ad esplodere.
La protesta in Algeria avrà portata ben maggiore perché esporterà immediatamente lo scontro radicale nei paesi vicini, non sarà più sufficiente calpestare qualche foto o gridare qualche slogan. Solo in Egitto il popolo ha affetto e stima per l’esercito, negli altri paesi l’esercito è stato il servo del dittatore.
Lo Yemen, uno degli storici nascondigli di Bin Laden, ha una popolazione con età media inferiore ai venti anni. Pensare che si accontentino della promessa di Ali Abdallah Saleh di non ripresentarsi alle prossime elezioni non è ingenuo, è un crimine contro l’intelligenza, a venti anni non si aspetta pacificamente lo scorrere degli eventi storici, si pretende tutto e subito. Saleh sta rincorrendo la protesta con concessioni quotidiane, ma non potrà risolvere il problema.
Il Bahrein merita un'attenzione speciale. Intimamente connesso a Qatar e Arabia Saudita, porto della V flotta USA, è l’espressione di una discrasia religiosa assai diffusa nel mondo musulmano: famiglia reale sunnita che governa su popolazione a maggioranza sciita. Il re Amad bin Isa al Khalifa ha dovuto concedere l'amnistia e consentire il rientro dall'esilio di Hassan Mushaima, leader del movimento sciita Haq, radicale e critico nei confronti della monarchia.
Mushaima, appena sbarcato, ha accusato la famiglia reale di corruzione invitando il re a sottoporsi al giudizio dei tribunali. I manifestanti continuano a protestare nella capitale Manama, chiedono una riforma costituzionale che garantisca pieni poteri al parlamento. L’allontanamento del primo ministro Sheikh Khalifa ibn Salman al-Khalifa non ha minimamente placato le proteste. Alcuni manifestanti sventolano delle bandiere del Bahrein urlando slogan come “Il popolo vuole la caduta del regime”. Un contagio diretto da qui al Qatar ed all’Arabia Saudita è troppo pericoloso per essere trascurabile.
L'Iran vuole essere il punto di riferimento ideologico-religioso. Non sono certo le due patetiche barchette da guerra che contano, conta l’atto di presenza della teocrazia che intende sostenere e favorire lo sviluppo di movimenti estremisti orientati con decisione contro il mondo satanico rappresentato da Usa e Israele.
Il virus informatico Stuxnet ha vanificato la messa in opera della tanto osannata centrale nucleare iraniana di Bushher costringendo i tecnici a estrarre le 180 barre di uranio arricchito appena inserite e ad informare la Iaea del problema. Forse un primissimo atto di scontro concreto. I soliti cinici, pur nella più totale assenza di prove, sostengono che quella particolare versione dello Stuxnet porti la kippah.
Ulteriore impulso al deterioramento dello scenario è l’evidente mancanza di collaborazione e cooperazione, forse anche di qualità, delle intelligence occidentali. Con tutta evidenza siamo di fronte a uno schema magistralmente condotto da un nucleo pensante di scacchisti abilissimi che gestisce tempi e bersagli in sequenza logica impeccabile. L’indice accusatorio punta sulla tempestività e qualità delle informazioni e delle analisi di intelligence.
Il “consiglio” di trascorrere un periodo di ferie in patria non è stato né pensato né comunicato ai migranti del lavoro. Un classico Imia (intelligence missing in action), controprova ne sia il rimedio tramite blitz militari per riportare a casa i civili. Ulteriore lassismo, sottovalutazione o scarsa penetrazione di intelligence fisica e logica nei meccanismi in corso e nelle dinamiche in atto, potrebbero costare molto cari in termini sia di vite umane sia di rinnovamento delle relazioni con i futuri poteri a capo delle vitali risorse energetiche del “Mare Nostrum”.
(11/03/2011)
Nessun commento:
Posta un commento