Maurizio Blondet
da una puntata di «Report» sulla burocrazia «in cui si perde chi vuole costruire o ristrutturare secondo le regole».
Primo caso: uno studio di geometra nel bolognese. Un cliente vuole chiudere una porta interna al suo appartamento, in modo da ricavarne due. Non c’è nulla di più da fare salvo fare un muro là dov’è la porta; l’appartamento ha già due entrate indipendenti. Per fare una modifica interna come questa, lo studio del geometra deve consultare: il testo unico nazionale sull’edilizia, il testo unico «regionale» sull’edilizia; e inoltre il regolamento comunale del comune interessato. Tre tomi alti così.
Ora, una minima logica vorrebbe che, se esiste un testo legislativo nazionale, quello regionale è di troppo; oppure, magari, che basterebbe consultare il regolamento comunale, dato che dovrebbe in qualche modo aver «recepito» (come si dice in burocratese) i due testi delle istanze superiori.
Invece no: tutti e tre i testi normativi hanno la stessa voce in capitolo. Non ce n’è uno che faccia più autorità degli altri due, sicchè occorre obbedire a tutti e tre contemporaneamente.
Il fatto è che i tre testi, che s’incastrano ed intrecciano, si ignorano a vicenda e si contraddicono l’un l’altro. Tanto che spesso il geometra deve chiedere «chiarimenti» su come interpretare le norme. A chi? Al Comune (perchè no anche a Regione e Stato?). Con apposita supplica in carta da bollo, si deve chiedere un appuntamento al competente ufficio municipale per porre «un quesito».
Un quesito per volta. Il geometra può avere tre o più quesiti da porre, per essere sicuro di non infrangere le nostre draconiane normative plurime: in tal caso deve chiedere tre appuntamenti distinti. Per lo stesso appartamento, per la stessa modifica dello stesso appartamento.
«Sennò si formerebbero code negli uffici», si giustifica un tizio del comune. E naturalmente, ogni volta l’addetto comunale che si degna di farsi sottoporre il nuovo quesito non è lo stesso che ha ascoltato il quesito precedente: sicchè bisogna raccontare e spiegare tutto daccapo, e spesso il secondo addetto trova «irregolarità» in ciò che ha fatto il primo addetto, e si deve ricominciare da capo. Sempre, ad ogni passaggio, con carta bollata da 16 euro.
Mettiamo che le autorità comunali finiscano per accettare la «regolarità» dell’opera : ricordiamo, si tratta di chiudere una porta all’interno del mio e del vostro appartamento. Un vano di due metri per uno e mezzo da chiudere con un muretto.
Ma prima di mettere un mattone sull’altro, il proprietario deve presentare al Comune delle «certificazioni». Cioè, se ho ben capito, deve comprovare al Comune, con perizie e documenti, che la costruzione del muretto dentro la sua casa non comporti l’attuazione di altre «irregolarità», che sia tutto «a norma». Quante sono le certificazioni? Una trentina. Quasi tutte insensate.
Per esempio: per chiudere una porta interna con un muretto, il proprietario deve certificare l’impianto elettrico della casa, che quasi certamente era già a norma prima: dunque deve ricertificarlo di nuovo. Deve certificare che quel suo odioso muretto non minaccia lo «smaltimento degli aeriformi» nè è causa di «emissioni dannose», non riduce «l’approvvigionamento idrico» nè «lo smaltimento delle acque reflue».
Che un muretto a chiusura di una porta possa minacciare lo smaltimento regolare delle acque reflue è ovviamente escluso per natura; ma le pubbliche autorità approfittano che voi avete chiesto quella piccola modifica per ripassarvi al setaccio tutto l’appartamento, per ficcare il naso nei fatti vostri, onde vedere se possono in qualche modo punirvi e multarvi per qualche dimenticanza o «irregolarità». O almeno ostacolarvi in quella vostra arrogante pretesa di fare, in casa vostra, quel che vi pare.
Infatti, vi chiedono anche di certificare – cito a memoria – che chiudere quella porta non influisce sul «contenimento dei consumi energetici». Che non turba il «rispetto dei campi elettromagnetici». Dovete fornire, inoltre, la certificazione antisismica, anche se volete costruire il muretto in cartongesso. Soprattutto, dovete certificare che il vostro muretto (interno) è «in conformità con gli aspetti urbanistici».
Aspetti urbanistici, capite!? A parte che se siete italiano vivete sicuramente in un abitato dove gli «aspetti urbanistici» semplicemente non esistono, essendo da gran tempo violentati da immani palazzoni abusivi che hanno ottenuto «la deroga» o il condono... come far capire che la modifica di una parete interna non ha nulla a che fare con l’urbanistica, e ciò per definizione, essendo «interna»?
Ma lo capiscono, certo che lo capiscono: solo che lorsignori vi vogliono dimostrare chi è che comanda. In un’Italia dove è normale l’abusivismo, voi che fate l’errore di chiedere alle «autorità competenti» cosa dovete fare per essere «in regola», siete la loro vittima preferita. Avete poggiato volontariamente la testa sul loro ceppo.
M’immagino come vengano stilati i regolamenti comunali, in aggiunta alla legge nazionale e a quella regionale: è una giornata di festa negli uffici, persino gli assenteisti più incalliti tornano dalla finte ferie per malattia per partecipare al divertimento. Tutti s’ingegnano di inventare nuovi lacci e lacciuoli, fanno a gara per escogitare le più inaudite normative da imporvi: «Chiediamogli di dimostrarci che non viola le leggi antisismiche», grida uno. «E becchiamolo sulle acque reflue!», si spancia un altro. «L’urbanistica!», evoca un terzo. «I campi elettromagnetici! Prendiamolo in castagna coi campi elettromagnetici!», strilla gaudente un altro. «Ma è legale...?», chiede un quarto, dubbioso sull’esistenza dei campi elettromagnetici in un appartamento; segue una frenetica consultazione di piani nazionali e regionali: «Sì, si può!», strillano tutti, e giù risate.
Anzi: vi aggiungono l’obbligo di accertare che i muratori che vi tirano su il muretto ricevono i
contributi previdenziali. E vi impongono pure di presentare un «piano di sicurezza» anti-infortuni...
Perche questo è il punto. Loro possono escogitare tutti gli «adempimenti obbligatori» che vogliono, anche trenta o quaranta per un muretto, perchè – tanto – il loro lavoro non aumenta. Siete voi che dovete certificare, non loro. Siete voi che dovete sapere se l’azienda costruttrice paga i contributi ai suoi operai, non la pubblica autorità. Siete voi che vi dovete occupare degli infortuni potenziali del muratore, non lorsignori.
Il «servizio pubblico» esiste per questo: per mettere voi al suo servizio, per evitare a loro la minima fatica. E per dimostrare il suo potere su di voi.
«Report» ha intervistato un tecnico comunale di Grunwald, sobborgo di Monaco. Domanda: che permessi ci vogliono, in Germania, per chiudere una porta? Il tecnico cade dalle nuvole: «Non c’è bisogno di nessuna autorizzazione per un muro interno». Anche se col muretto un cittadino trasforma il suo appartamento in due appartamenti? «Non ci interessa se da un appartamento ne ricava due. Quel che ci interessa è che ci sia il posto auto per il secondo».
Ah, il posto auto: ecco cosa interessa ai Comuni tedeschi. Ai nostri, interessano i campi elettromagnetici.
Domanda insistente: «Ma nel caso che uno voglia farsi un secondo bagno...?». Il tedesco: «Quanti muri o bagni ci sono in un interno, non è cosa che riguarda il Comune. Riguarda la sfera privata».
La sfera privata, ragazzi: in Europa, la burocrazia rispetta una «sfera privata». Risulta che in Germania, il Comune si occupa solo dei «muri esterni, del tetto e dell’altezza dell’edificio», quel che riguarda la sfera pubblica, i famosi «aspetti urbanistici». Le regole sono poche e chiare: non c’è un piano nazionale, uno regionale, e un regolamento comunale di mille pagine ciascuno. Ci sono tre foglietti con 15 punti, che il cittadino costruttore deve rispettare: essenzialmente altezze, aspetto dei muri esterni e del tetto, punto e basta. Definiti dal piano regolatore comunale.
«Se si attiene a questi dati senza variazioni, per costruire gli basta dare una comunicazione di inizio lavori» (1). Non ha bisogno di alcuna licenza nè permesso. Anzi: ricevuta la comunicazione di inizio lavori, «ci pensa il Comune ad informare le autorità di controllo, il catasto, ed altri enti in caso di edifici vincolati».
A Grunwald, il Comune avvisa il catasto! Non il cittadino, ma il Comune! Il municipio e il catasto – due uffici pubblici – comunicano tra loro! C’è gente che esce dall’ufficio non per fare shopping, ma per «controllare» che l’edificio sia in regola! Non si fa mandare faldoni di certificazioni sulla scrivania, con tanto di bollo. Insomma, i dipendenti pubblici... lavorano, in quanto stipendiati per lavorare al posto del cittadino! Non ci si può credere.
E chi ha visto Monaco di Baviera, ha visto che città è, quanti edifici abusivi esistono. In Italia, per alzare quel muretto da meno di 1.000 euro, uno già ne deve spendere oltre 5 mila in «certificazioni», licenze e carte bollate; a Monaco, niente è dovuto al Comune. E si apprende che a Bologna, la civile Bologna, se uno si vuol mettere in giardino un casotto per gli attrezzi, di quelli che si possono comprare già fatti negli ipermercati per 1.500 euro, deve chiedere «la licenza edilizia». Non vi dico Afragola, dove vige – come afferma un competente comunale – «la cultura dell’abusivismo».